In questa Pasqua, segnata dalla notizia della morte di Papa Francesco, il cuore si stringe e si apre insieme. Si stringe per la perdita di un pastore che ha saputo parlare al cuore del mondo. Ma si apre, come il sepolcro vuoto all’alba del terzo giorno, alla speranza che lui stesso ha seminato con la sua vita. Una speranza che non muore, perché ha radici profonde nel Risorto.
Papa Francesco ci lascia in un tempo in cui l’umanità sembra smarrita, ferita da guerre, ingiustizie, crisi ambientali e solitudini profonde. Eppure, proprio in questo tempo, la sua voce è stata chiara e profetica: “Dio non si stanca mai di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”. Ci ha richiamati al cuore del Vangelo: la misericordia, la prossimità, la compassione. Ci ha mostrato che la Chiesa deve farsi vicina, deve “toccare la carne sofferente di Cristo nel popolo”.
Con gesti semplici e potenti, ha ricordato a tutti, e in particolare a noi missionari, che la fede non è una dottrina da difendere, ma una luce da donare. E la Pasqua, in fondo, è proprio questo: la vittoria dell’amore sulla morte, della tenerezza sulla paura, del “noi” sull’indifferenza.
Celebrando la settimana di Pasqua nel tempo della sua scomparsa, sentiamo ancor più forte il bisogno di credere che la vita ha l’ultima parola. Papa Francesco ha parlato spesso di un “mondo capovolto” dal Vangelo: dove i poveri sono al centro, i piccoli sono grandi, i deboli sono forti. È il mondo pasquale, dove la Croce non è la fine, ma l’inizio di una novità radicale.
In mezzo ai conflitti che insanguinano la Terra – dalla Terra Santa all’Ucraina, dall’Africa dimenticata ai drammi delle migrazioni – la sua voce è sempre stata voce di pace. “Mai più la guerra!”, gridava come San Giovanni Paolo II. Ci lascia un’eredità di pace che chiede di essere accolta e vissuta, ogni giorno, nei luoghi dove operiamo, accanto agli ultimi, nelle periferie del mondo e del cuore.
Francesco ha amato profondamente i laici, le donne, i consacrati, i giovani. Ha sognato una Chiesa “in uscita”, dove tutti siamo corresponsabili della missione. Una Chiesa che cammina insieme, sinodalmente, senza clericalismi, senza paure. Ha chiesto a noi missionari di non aver paura del nuovo, di non chiuderci nelle nostre sicurezze, ma di lasciarci portare dallo Spirito.
Ci ha detto che la santità è “il volto più bello della Chiesa”. E noi sappiamo che quella bellezza risplende soprattutto là dove la vita viene donata per amore: nelle vie anguste di una baraccopoli, nei corridoi di un ospedale, sotto il sole cocente di un villaggio africano o nel silenzio di una preghiera condivisa.
Papa Francesco ci ha lasciato, ma non ci ha lasciati soli. Il suo insegnamento resta come una strada luminosa da percorrere, specialmente per chi ha scelto di consacrare la vita al Vangelo. Ci ha insegnato ad ascoltare, ad accogliere, a camminare insieme. A rimettere Cristo al centro, ogni giorno. E a non dimenticare mai che la fede è gioia, è carezza, è pane spezzato.
Questa Pasqua ci invita, forse più che mai, a risorgere con Cristo. A non rimanere fermi davanti al sepolcro, ma a correre incontro alla vita. A dire con la nostra esistenza che l’amore è più forte della morte.
Papa Francesco ha vissuto così. Ora, tocca a noi continuare.